Era circa
l’una e l'incontro doveva avvenire la sera ad un'ora imprecisata ma credevo che
se avessi fatto una sortita in quel momento avrei potuto giocare la carta
sorpresa. Di nuovo, come era già capitato nei giorni precedenti tutto rallentò
ed i pensieri iniziarono ad affollarsi nella testa: che cosa fai? Vuoi
macchiarti le mani di un vero crimine? Cosa credi di ottenere facendo ciò? Tutte
queste domande mi annebbiarono la mente e per alcuni minuti mi trattennero dal
fare quell'azione oscena che avevo deciso di portare a termine. Ma alla fine,
come sempre in quei giorni, tornò il ricordo di quell'uomo e questa volta ebbe
l'effetto contrario: sortì in me una rabbia tale che tutte le domande
precedenti sparirono e tacquero per sempre senza più riapparire nella testa.
Poggiai
le armi sul tavolo e mi diressi verso uno dei computer della sicurezza dove
cercai qualcosa di utile per me: le mani correvano veloci sulla tastiera e
nonostante avessi la mente altrove riuscii ad entrare negli archivi privati del
proprietario di quella villa. Spulciai bene tutti dati contenuti li dentro
fin quando arrivai alle mappe catastali e alle piantine della villa di
residenza. Mi guardai un momento intorno e notai che non c’erano stampanti in
quella stanza quindi dovetti inviare le immagini sul mio smartphone per poterle
portare fuori da quel luogo. Fatto ciò manomisi tutti i computer presenti dando loro un colpo sulla scheda madre nelle vicinanze del processore.
Poi smontai gli hard disk e li presi con me. Da quel momento avevo un sacco di
informazioni su quell’uomo e potevo anche farlo finire dritto in galera se le
avessi consegnate alla polizia.
Non era un sempliciotto, in nessuno di quei computer era riportato un nome o un
codice, nulla che potesse far risalire alla sua persona ma una cosa era certa:
aveva le mani sporche di sangue ed era invischiato nella criminalità di quella
città; la mia città. Anzi, era un boss della criminalità.
Mi
resi conto a quel punto che l’affare era molto grosso e che sarei andato ad
immischiarmi in qualcosa che mi avrebbe potuto uccidere quella sera stessa o
più avanti nel tempo. Ma c'era un sentore che continuava a mantenermi saldo nella mia
decisione: il pensiero di quell'uomo, del quale non sapevo nemmeno il nome, non
faceva altro che alimentare la mia rabbia e la voglia di vendetta; il
sentimento che provavo era quasi innaturale, qualcosa che prima di allora non
avevo mai avvertito.
Dopo
questi pensieri presi tutti gli oggetti che avevo scelto e uscii da quella
stanza accorgendomi che ci ero rimasto per una sacco di tempo. Fuori, infatti,
il sole stava scendendo all’orizzonte e dalle finestre si poteva intravedere un
bellissimo tramonto rosso «Chissà se sarà l’ultimo che vedrò».
Presi
le chiavi della macchina e lasciai definitivamente la dimora che probabilmente
sarebbe stata il punto di partenza di qualcosa di nuovo o l’inizio della mia
fine.
Lasciai
tutti gli oggetti sul porticato e andai a prendere la macchina con la quale
entrai nel cancello e percorsi il viale brecciato. Caricai tutto nel
portabagagli e mi avviai verso il luogo dell’incontro che rispetto a dove mi
trovavo era abbastanza lontano e ci voleva circa un’ora per raggiungerlo con la
macchina.
La
notte scese in fretta ed io giunsi finalmente al punto d’arrivo: parcheggiai la
macchina lontano dalle mura del giardino che circondava la casa. Lasciai li
dentro solo i tre hard disk che contenevano tutti i dati utili per incastrare
l’uomo.
Mi
fermai lungo la strada, vicino ad un albero e lì presi il mio smartphone e iniziai a controllare la mappa della casa: la osservai per quasi dieci minuti
cercando di capire da dove poter fare irruzione e soprattutto dove poter essere
non visto dalle telecamere.
Alla
fine presi la mia decisione e mi avviai verso un angolo buio del muro dove,
secondo la mappa, non c’erano telecamere. Misi il fodero del gladio a tracolla,
quello dello spadino al fianco, la pistola in cinta dietro la schiena e i
caricatori nelle tasche del jeans.
Arrivato
al muro mi arrampicai sfruttando i mattoni e i rampicanti che si erano fatti
strada su di esso. Salii in cima e mi guardai un momento intorno: tra me e la
porta d’ingresso c’erano circa venti metri in linea d’aria e solo due guardie
armate si frapponevano. La prima passò proprio sotto di me durante il suo giro
di ronda, attesi il momento più opportuno quindi mi buttai giù cadendo con le
gambe su di esso. Flessi le ginocchia e le feci impattare contro la sua schiena
prima di cadere a terra. Con un gesto repentino mi rialzai prima di lui e gli
misi un braccio intorno al collo per portarlo allo svenimento da soffocamento.
L’uomo si dimenò in tutte le maniere arrivando anche a colpirmi al volto. Alla
fine, tuttavia, svenne. Iniziai a sudare: sudavo
per il caldo e per i movimenti che stavo facendo e sudavo freddo per le azioni
che stavo compiendo; azioni che mi erano state insegnate al corso di arti
marziali e che avevo giurato di non usare se non per autodifesa.
Trasportai
il corpo svenuto dell’uomo dietro ad un cespuglio e poi rimasi acquattato tra
l’erba alta dato che avevo sentito avvicinarsi una voce «Chi c’è? Massimo,
tutto bene?». Non feci nessun movimento e lasciai che l’uomo si avvicinasse a
controllare cosa stesse succedendo, quindi quando notò il cespuglio smosso e
accese la torcia per vedere cosa ci fosse mi mossi all’improvviso e con un
pugno colpii la parte posteriore del suo ginocchio tanto da fargli perdere
l’equilibrio. A quel punto mi alzai e lo afferrai al collo con il braccio destro
facendogli fare la stessa fine del collega. Sudavo così tanto che lasciai un
grosso alone sulla giacca dell’uomo.
Mi
abbassai, presi la sua torcia, la misi in tasca e corsi
verso la porta d’ingresso controllando che nessun altro potesse vedermi. A quel
punto sapendo dove erano le telecamere e cosa inquadravano, le aggirai e le
spensi definitivamente colpendole con dei sassi.
Sapevo che quella cosa avrebbe attirato altri uomini li dove mi trovavo, così
abbandonai il luogo e andai verso una porta che consentiva l’accesso al retro
della casa. Anche li c’era una telecamera di sorveglianza ma quella era più
semplice da disattivare: infatti mi arrampicai su un bidone dell’immondizia
posto al fianco della porta e riuscii ad arrivare alla
telecamera dalla quale staccai il cavo di alimentazione.
Ridiscesi
dal bidone ed entrai nella casa, la porta non era stata chiusa a chiave dato
che le guardie facevano dentro e fuori da li. Dovevo fare in fretta, così
entrai e controllai se alla porta era attaccata la chiave. La fortuna volgeva
verso di me, così chiusi la porta e feci fare un paio di giri alla chiave:
nessuno sarebbe potuto entrare da li e solo io ne sarei uscito.
Mi
lasciai la porta alle spalle e percorsi il corridoio che si mostrava dinanzi a
me: era tappezzato d quadri (probabilmente riproduzioni) e ogni due metri c’era
una statuetta su un piedistallo, probabilmente una statuetta raffigurante una
delle divinità dell’antichità.
Il
corridoio finiva con tre porte poste a sinistra, a destra e al centro. Erano
tre porte identiche, di legno ben rifinito e con i manici d’oro. Le raggiunsi e
poi, acquattandomi al muro ripresi lo smartphone e guardai nuovamente la
piantina della casa: la porta a destra mi avrebbe condotto verso un bagno, quella al centro verso una sala da pranzo e
quella a sinistra verso uno studio. Il bagno non era utile, la sala da pranzo
era troppo grande e sicuramente messa in
sicurezza con qualche telecamera, quindi optai per entrare nell’ufficio e vedere
se il mio obiettivo fosse li. Mi avvicinai alla porta e poggiando le spalle al
muro allungai il braccio sinistro verso il manico che abbassai. La spinsi e
affacciai lo sguardo verso l’interno, quindi presi la torcia nella tasca
sinistra ed illuminai. Era tutto buio e davanti a me si trovava una scrivania
molto ordinata sulla quale si potevano vedere diversi taglia carte
pregiatissimi. Dietro questa c’era una grossa sedia di pelle e ancora più giù
si ergeva una grande libreria piena di tomi, libri e testi di ogni
genere.
Continuai
ad osservare cercando di capire se in quel luogo avessi potuto trovare qualcosa
di utile ma subito mi accorsi che così non era. Feci per girarmi quando sentii
dei rumori di passi che provenivano dalla sala da pranzo e si dirigevano verso
il corridoio. Con un gesto repentino accostai la porta alla chiusura e con
molta delicatezza la chiusi. Mi avvicinai alla scrivania, mi abbassai e
appoggiando le spalle (e quindi il gladio) a quest’ultima, mi nascosi li
dietro. Sentii aprire la porta che collegava il corridoio e la sala da pranzo,
un paio di passi e poi di nuovo la porta, ma questa volta la stava chiudendo.
Qualcuno era nel corridoio e avevo un trentatré percento di possibilità che
entrasse nella stanza dove mi ero rifugiato. Trattenni il respiro in modo da
sentire quale fosse la prossima mossa di quell’uomo. I passi si allontanarono
verso il bagno, poi tornarono e di nuovo uscirono dal corridoio corsero di nuovo nella
sala da pranzo. Dopo poco non li sentii più e decisi di alzarmi ed uscire in
fretta da quella stanza: ormai sapevano che ero li, chi fossi e, probabilmente,
anche cosa volessi, ma ancora non riuscivano a trovarmi. Dovevo arrivare il
prima possibile al mio obiettivo, sistemarlo una volta per tutte e fuggire da
li il prima possibile.
Uscii da lì ed entrai nella sala da pranzo. Un rapido sguardo ai
quattro angoli del soffitto per cercare possibili telecamere e poi una
velocissima corsa verso la porta che vedevo dall’altro lato della stanza. Al
centro dell’enorme sala c’era un gigantesco tavolo che avrebbe potuto ospitare
quindici persone, non era apparecchiato ma era estremamente pulito. Sulla
parete sinistra della stanza c’era un lunghissimo quadro raffigurante alcune
delle più importanti opere del rinascimento italiano. Sulla destra, due enormi
finestre mostravano il giardino fiorito a quella bellissima sala da pranzo.
Giunsi
all’altra porta ed uscii dalla stanza trovandomi nell’ingresso dove ebbi
quello scambio di parole con il “tedesco”. Non c’era nessuno ma dovevo fare in
fretta, dovevo arrivare al mio obiettivo. Ma dov’era? Dove lo avrei potuto
trovare? Ripresi in mano il mio smartphone e controllai nuovamente la piantina
della casa per vedere se c’era qualche stanza più importante al piano
superiore. Sfogliai quella mappa per ben cinque minuti ma poi mi venne la
folgorazione: se avevamo un appuntamento e l’unico luogo in cui ci eravamo
visti nella casa era la stanza dove ho alloggiato io, forse il mio obiettivo
era li. Stando attento a non farmi vedere decisi di tornarci.
Feci
il percorso contrario a quello che avevo fatto la mattina e finalmente giunsi
quasi nei pressi della porta che conduceva a quello scantinato. Stavo per
girare l’angolo quando udii un paio di voci. Mi bloccai all’improvviso e mi
acquattai contro il muro. Due uomini stavano piantonando la porta ed erano
entrambi armati di mitra.
La
situazione si stava mettendo male, sicuramente sapevano che ero li e alcuni
uomini mi stavano cercando, quindi non avevo molto tempo, dovevo escogitare
qualcosa.
Mi
trovavo in un corridoio a “L” e l’unica uscita era possibile attraverso la
porta alle mie spalle dalla quale ero appena entrato. Mi guardai intorno in
cerca di qualcosa che potesse darmi una mano ma, quasi in preda al panico, non
riuscii a vedere nulla e a concentrarmi. Lo sguardo correva freneticamente da
destra a sinistra e non si fermava mai per troppo tempo ad osservare. Tutto
questo fin quando l’occhio cadde su una scatoletta elettrica posta nel muro.
Era proprio vicino a me non ci misi molto a raggiungerla senza far alcun
rumore. La scatoletta era di plastica morbida attaccata al muro con
quattro viti piccole. Non mi rimaneva altra scelta, dovevo usare la spada per
estrarla e tagliare i cavi: fortunatamente entrambe le armi
bianche che avevo con me erano dotate di una copertura di gomma intorno al
manico.
Ciò
che stavo per compiere doveva avvenire in pochissimi secondi dato che
l’estrazione della scatola dal muro avrebbe procurato molto rumore.
Mi guardai
un momento intorno, poi infilai con forza la spada tra il muro e la scatoletta,
quindi, dopo un lungo sospiro, feci un movimento repentino tirando la spada
verso di me. Le viti superiori si staccarono facendo un gran rumore mentre
quelle inferiori rimasero serrate al muro. La scatoletta si spezzò e fece un gran fracasso. Dopo ciò rimasi un momento fermo e trattenni il fiato
cercando di capire se le due guardie della porta avessero sentito i rumori. E
da come parlavano, pareva proprio di si. «Merda! Merda! Merda!» dissi a bassa
voce mentre infilavo nuovamente la spada nella scatoletta e notando i cavi
all’interno la usai per tagliarli tutti di netto: erano sei cavetti elettrici
uniti da un’unica fascetta di plastica. A quel punto feci pressione con la
spada su quella e con un taglio netto tranciai tutti i cavetti.
A
quanto pareva la fortuna non era dalla mia parte in quel momento, infatti le
luci del corridoio si spensero solo
lungo il tratto che avevo già percorso e dove mi trovavo in quel
momento; davanti la porta che i due uomini piantonavano c’era ancora la luce,
probabilmente controllata da un altro allaccio elettrico.
Diedi
un rapido sguardo intorno a me per vedere quale fosse il punto più buio del
corridoio. Rinfoderai la spada, corsi verso quell’angolo e rimasi in piedi con
le spalle al muro sperando di rimanere coperto dall’oscurità. Solo una flebile
luce arrivava dall’altro braccio del corridoio e non riusciva ad illuminare
tutto.
Rimasi
fermo li attendendo i due uomini armati che non ci misero molto ad arrivare. Dopo
un breve scambio di parole uno dei due tornò al posto suo mentre l’altro iniziò
a camminare lungo il corridoio e da quel momento la fortuna iniziò a girare
dalla mia parte: non aveva una torcia e l’illuminazione esterna non riusciva a
fare luce all’interno.
Camminò
lungo il corridoio cercando di guardare se ci fosse qualche finestra aperta o,
addirittura, rotta, oppure se ci fossero tracce lasciate sul pavimento. Per sua
sfortuna l’unica cosa che trovò, fu solo il pezzo rotto della scatoletta che
giaceva sul pavimento. Quando lo vide si chinò per raccoglierlo e quello fu il
momento in cui feci uno scatto dall’angolo buio, nel quale mi ero rifugiato,
per dare un colpo dietro la nuca dell’uomo e farlo svenire sul colpo. Riuscii a
colpirlo col pomo del gladio e riuscii anche a tenerlo senza farlo cadere a
terra, anzi, lo adagiai pian piano al fine di non far rumore. Tornai
nell’angolo buio in attesa che l’altro si accorgesse dell’imminente assenza del
compagno e venisse a controllare: stoltamente non fece passare troppo tempo e
si diresse verso il nostro corridoio.
L’azione
fu la stessa se non fosse che riuscì a dare l’allarme agli altri uomini
attraverso un walkie talkie prima ch’io lo mettessi k.o.
Non esitai più di un secondo e mi lanciai in corsa verso la porta che i
due piantonavano ma questa volta arrivò tutta la mia sfortuna in una persona
sola: mentre giungevo, la porta si aprì da sola e dinanzi a me si presentò il
“tedesco”: una montagna di muscoli alta quasi due metri che mi sovrastava.
Deglutii, feci mezzo passo indietro e alzai la guardia «Mi ero dimenticato di
te. Maledizione» - «Ed io invece sono contento di sgranchirmi un po’ le
braccia»