lunedì 5 agosto 2013

QUANDO TUTTO EBBE INIZIO - Capitolo IV - di Matteo Palmerini

Mi lasciai il portone alle spalle e camminai lungo il viale di quell’enorme giardino circondato da una cinta muraria molto alta che culminava in un cancello mastodontico. Durante il tragitto che percorsi a testa bassa venni assalito dai primi dubbi: che stai facendo? Ti dai alla criminalità? Sei un killer, devi consegnarti alla giustizia. Tutte domande che mi rimbombavano nella testa ma che subito venivano zittite dal ricordo di quell’uomo che mi aveva salvato dal baratro della prigione.
Giunsi al cancello e tornai nel mondo reale, lo oltrepassai e vidi una macchina parcheggiata li davanti: era una Ford Fiesta ultimo modello. Salii in macchina e mi diressi verso il luogo dell’appuntamento dove avrei dovuto incontrare quel tale che si sarebbe presentato a me come “la guardia”.
Non ci volle molto, in venti minuti ero arrivato dinanzi al luogo ma, come mi era stato suggerito, non mi dovevo far vedere in giro, quindi rientrai in una via secondaria e parcheggiai l’automobile. Scesi, mi misi il cappuccio della t-shirt e mi avviai verso lo stabilimento balenare. Era una giornata molto calda di fine Luglio e alle nove del mattino si potevano già percepire circa trenta gradi nell’aria. Mentre camminavo iniziavano a tornarmi in mente quei dubbi che mi avevano assalito poco prima ma, di nuovo, il pensiero della persona che mi aveva salvato dalla galera faceva sparire tutto. Uno nuovo, però, cominciava a martellarmi più degli altri: da quel momento in poi come mi sarei guadagnato da vivere? Dovevo continuare a fare quei lavori per quell’uomo? Che cosa ne sarebbe stato del mio futuro? Tutte domande che non ebbero risposta e che zittii subito nella mia mente concentrandomi su ciò che dovevo fare di li a qualche istante. Ero infatti arrivato dinanzi all’entrata dello stabilimento balneare che era già strapieno di gente (essendo domenica mattina) intenta a bere caffè presso il bancone del bar, oppure a prendere gelati nel frigo o bibite fresche. Mi avvicinai ai videopoker che erano posti in un angolo solitario e li mi tolsi il cappuccio e aspettai l’arrivo di quell’uomo. Ancora non sapevo come avrebbe fatto a riconoscermi ma rimasi in silenzio  facendo finta di giocare. Circa dieci minuti dopo venni avvicinato da un uomo di media statura, un po’ grassoccio con un paio di Ray-Ban che coprivano ampiamente parte del suo volto. Mi affiancò e quando volsi lo sguardo verso di lui mi disse «Ho ciò che ti serve. Sono “la guardia”» non dissi nulla e allungai la mano per prendere la busta. Chiaramente il tutto avvenne lontano da occhi indiscreti. Infine mi fece un cenno del capo e voltandosi si allontanò dallo stabilimento.
Rimasi quasi interdetto ma alla fine misi la busta nella cinta e la coprii con la maglietta. Decisi allora di allontanarmi da li e mi incamminai verso la macchina per poi dirigermi all’indirizzo che l’uomo mi aveva segnalato.
Non ci misi molto tempo nel raggiungerlo e trovare posto per l’auto. Durante il viaggio continuai a pormi quelle domande che per quasi tutta la mattinata mi avevano martellato la testa ma, sempre, come ogni volta, non rispondevo e pensavo all’uomo che mi aveva salvato trovando un estasiante senso di pace e conforto. Scesi dall’auto e percorsi a piedi quel tratto di marciapiede che mi separava dal cancello della dimora. Arrivato li davanti mi soffermai un momento ad osservare ciò che si trovava all’interno: un viale si presentava subito a me ed era completamente circondato da cipressi alti e fitti e si infrangeva sulla scalinata di una villa costruita in stile coloniale. Presi dalla tasca dei miei jeans il mazzo di chiavi che mi era stato dato ed infilai quella giusta nella toppa del cancello. Aprii ed entrando notai che oltre quei cipressi c’era un enorme giardino fiorito circondato da un muro. Era sicuramente fatto di cemento armato ma era coperto da un rivestimento di pietre che lo facevano sembrare un vero e proprio muro di cinta medievale.
Raggiunsi la scalinata che metteva fine al viale brecciato e dava inizio al porticato di legno di quella casa magnifica. A quel punto la domanda mi sorse spontanea: per attendere la sera c’era bisogno di lasciarmi in dotazione tutta questa villa? E poi: se può permettersi di lasciare a me, perfetto sconosciuto, le chiavi di una casa del genere, quanti soldi ha?
Rimasi per un po’ ad osservare quel porticato sorretto da due colonne di marmo ben tenute e pulite e notai che il portone d’ingresso era veramente grande, tanto da poter far entrare un’auto di media grandezza.
Guardai il mazzo di chiavi che avevo in mano e scelsi la chiave che mi sembrava più appropriata per quel enorme portone ligneo. Lo aprii dopo circa quattro mandate ed entrando vidi un altro salone molto simile a quello visto nella villa precedente. Misi le chiavi in tasca, chiusi il portone e decisi di fare un giro della casa per conoscerla bene. Iniziai dal pianterreno visionando tutte le stanze che lo componevano: due enormi saloni di cui uno destinato per i pranzi e l’altro adibito a biblioteca con una vasta gamma di libri. Le altre stanze del piano erano: un ripostiglio, due cucine, un sottoscala che scendeva sotto terra e che ho visionato in un secondo momento, due bagni molto grandi e accoglienti, una veranda che si trovava oltre una porta posta sull’altro lato della casa e che aveva come sfondo un altro giardino grandissimo che si perdeva in un boschetto.
Oltre la scalinata, invece, si apriva un primo piano formato da un lungo corridoio sul quale si affacciavano diverse stanze: tre matrimoniali, tre singole e tre bagni. Tutte e sei le camere da letto erano molto grandi potendo ospitare anche più persone di quelle previste dai letti e i bagni erano tutti e tre provvisti di docce e vasche idromassaggio.
Erano le 11 di mattina e dopo quella visita al piano terra e al primo piano decisi di dare un’occhiata a quel sottoscala che scendeva sotto terra. Accesi le luci e discesi la scalinata che conduceva all’enorme cantina che si presentava come luogo utilizzato per depositare gli oggetti inusati. L’illuminazione mi concedeva di vedere tutti gli scatoloni ammassati uno sopra l’altro e nominati tutti quanti con un codice alfa numerico. In un angolo della stanza era riposto un tavolo da biliardo coperto da un telo di plastica che ne evitava l’usura. Tutto era ricoperto di polvere e dava a ben pensare che quel luogo fosse molto poco usato e che quegli oggetti fossero li da molto tempo. Diedi ancora un’occhiata fugace e poi decisi di tornare sopra per vedere se la dispensa avesse qualcosa da mangiare. Quando mi volsi per tornare alla scalinata, il mio braccio destro impattò con la busta che avevo ancora nella cinta del pantalone. A quel punto venni assalito dalla curiosità di sapere cosa ci fosse, una curiosità che avrebbe potuto uccidermi. Chiaramente ero molto combattuto e, anzi, nonostante il desiderio di sapere, volevo consegnare la busta a quell’uomo e tornare finalmente a casa mia. Decisi allora di prenderla e la osservai per un po’ cercando di capire cosa contenesse. Era una busta imbottita ma sembrava che dentro non ci fosse nulla di grande anzi, sembrava proprio che non ci fosse nulla. La curiosità continuò a crescere in me e fu così che decisi di provare a portare la busta sopra per avvicinarla a del vapore affinché la potessi aprire senza romperla e richiuderla senza che nessuno si accorgesse della manomissione. La rimisi in cinta e volgendomi per dare un’ultima occhiata a quello scantinato notai una scatoletta attaccata al muro vicino ad uno scaffale di metallo pieno di scatoloni. Rimasi un attimo interdetto ad osservare da lontano ma alla fine mi avvicinai per capire cosa fosse: notai subito la luce blu che emanava dallo schermo centrale e ad un primo sguardo sembrava un termostato touch screen ma man mano che mi avvicinavo vedevo sempre meglio i numeri sovrapposti sullo schermo che sembravano stare li per aprire qualcosa. Era tempo di capire dove veramente mi trovassi ed iniziai a guardarmi intorno per vedere se ci fossero porte che potessero essere aperte tramite quella sottospecie di scatoletta elettronica. Vagai per un po’ all’interno di quella cantina ma non riuscii a vedere nessuna porta, l’unica era quella che conduceva alla scalinata che mi avrebbe riportato al piano terra. Decisi allora di controllare se potesse trovarsi ai piani superiori ma prima di andarmene volevo memorizzare bene come era fatto quello schermo touch screen per capire, poi, come avrei fatto per manometterlo e trovare il codice d’accesso giusto. Mi avvicinai per guardarlo bene e capire se ci fosse qualche punto dal quale aprirlo e notai un marchio di fabbrica molto conosciuto: era il marchio della ditta per cui lavoravo.
Quello era un sistema di sicurezza installato da una ditta di vigilanza che aveva le schede integrate in silicio prodotte dall’azienda per cui lavoravo. Mi scappò un piccolo sorriso e mi allontanai da li per vedere se ci fosse un cacciavite o qualcosa di similare. Trovai una piccola cassettina piena di attrezzi da lavoro: cacciaviti, avvitatori, chiavi inglesi, chiodi, un martello ed altra roba. Presi un piccolo cacciavite con punta piatta ed uno con punta a stella.
Con il cacciavite a stella tolsi le viti e con quello piatto estrassi la scatoletta dal supporto installato sul muro. La prima cosa che vidi fu una scheda madre collegata tra lo schermo e il resto del sistema d'allarme: avendone programmate ed installate molte in passato, sapevo come disattivarle e lasciare che tutto il sistema di sicurezza che controllavano crollasse, spegnendo telecamere, scansioni infrarossi e lasciando aprire tutte le porte controllate elettronicamente. Staccai il cavo di alimentazione, manomisi i cavetti di collegamento tra la scheda madre e il resto del sistema e in pochi minuti il gioco era fatto. Altro non aggiungo per non spiegare come manomettere un sistema di sicurezza sofisticato come quello. Non voglio che altri sappiano queste cose.
Finito il lavoro, rimontai lo schermo al posto suo e richiusi la scatola. Proprio in quel momento sentii un forte rumore provenire dal piano immediatamente superiore. Rimisi i cacciaviti al loro posto e tornai di sopra dove, dopo una breve ricerca nelle varie stanze, notai che nella biblioteca si era mosso uno scaffale che aveva lasciato aperto uno spazio.
Senza pensarci due volte percorsi il corridoio che si presentava davanti a me e giunsi dinanzi ad una porta aperta ma non spalancata, appoggiata all'uscio. Guardai all'interno prima di aprire completamente e notai una stanza altamente sofisticata piena di gioiellini tecnologici: monitor dai quali si poteva vedere ciò che riprendevano le telecamere di sicurezza, computer che tenevano sotto controllo gli scanner ad infrarossi ed ultima, ma non per importanza, un'altra grande vetrata che custodiva una lunga serie di armi da fuoco e armi bianche. Erano molto simili a quelle che avevo visto nell'altra villa ma erano in quantità molto maggiori. Notai anche che su un tavolo era tenuto uno scanner infrarossi piccolo, sembrava un semplicissimo microscopio ma a causa del suo puntatore laser si poteva facilmente distinguere da quest’ultimo. Rimasi un attimo ad osservarlo e in quel momento mi venne l'idea geniale: potevo passare sotto la busta sotto il laser e scoprire cosa contenesse. Non ci pensai su troppo e prendendola da sotto la T-shirt mi sedetti sullo sgabello, mi avvicinai allo scanner e lo accesi. La posai sotto la lente e la vidi riprodotta nello schermo che avevo dinanzi a me, quindi feci partire il laser che in pochi secondi la scansionò tutta e diede un risultato sul monitor: all'interno era contenuto un foglio di carta. Su tale foglio era scritto qualcosa, forse una lettera ma le uniche parole che il laser riuscì a decifrare furono: come da lei ordinato l'appartamento è completamente ripulito e i corpi delle due vittime sono stati fatti sparire. Il piano è ben riuscito, ora tocca a lei pensare al ragazzo.

Lo stupore fu inimmaginabile e dopo un momento di incredulità, le vene delle tempie iniziarono a pulsare e la rabbia cominciò a ribollire dentro di me. Senza accorgermene, avevo stretto talmente i pugni che le vene della mano si erano gonfiate. Iniziai a respirare quasi affannosamente mentre il pensiero di quell’uomo si faceva sempre più nitido dentro di me e la voglia di metterlo a tacere una volta per tutte cresceva sempre più.
In preda alla rabbia mi alzai dallo sgabello, lo afferrai per un piede e lo scagliai con forza verso la vetrata che conteneva le armi. Come è facile immaginare tutto andò in frantumi.

Non avevo mai sparato in vita mia ma sapevo ben maneggiare una spada o due. Quindi le presi entrambi con lama corta (una delle due era un gladio di pregevolissima fattura) e portandole via da li con i loro foderi dissi a me stesso che era giunto il momento di farla pagare a quel bastardo. Come ho appena detto, non avevo mai sparato in vita mia ma una pistola la presi comunque.

Nessun commento:

Posta un commento