lunedì 19 agosto 2013

QUANDO TUTTO EBBE INIZIO - Capitolo V - di Matteo Palmerini

Era circa l’una e l'incontro doveva avvenire la sera ad un'ora imprecisata ma credevo che se avessi fatto una sortita in quel momento avrei potuto giocare la carta sorpresa. Di nuovo, come era già capitato nei giorni precedenti tutto rallentò ed i pensieri iniziarono ad affollarsi nella testa: che cosa fai? Vuoi macchiarti le mani di un vero crimine? Cosa credi di ottenere facendo ciò? Tutte queste domande mi annebbiarono la mente e per alcuni minuti mi trattennero dal fare quell'azione oscena che avevo deciso di portare a termine. Ma alla fine, come sempre in quei giorni, tornò il ricordo di quell'uomo e questa volta ebbe l'effetto contrario: sortì in me una rabbia tale che tutte le domande precedenti sparirono e tacquero per sempre senza più riapparire nella testa.
Poggiai le armi sul tavolo e mi diressi verso uno dei computer della sicurezza dove cercai qualcosa di utile per me: le mani correvano veloci sulla tastiera e nonostante avessi la mente altrove riuscii ad entrare negli archivi privati del proprietario di quella villa. Spulciai bene tutti dati contenuti li dentro fin quando arrivai alle mappe catastali e alle piantine della villa di residenza. Mi guardai un momento intorno e notai che non c’erano stampanti in quella stanza quindi dovetti inviare le immagini sul mio smartphone per poterle portare fuori da quel luogo. Fatto ciò manomisi tutti i computer presenti dando loro un colpo sulla scheda madre nelle vicinanze del processore. Poi smontai gli hard disk e li presi con me. Da quel momento avevo un sacco di informazioni su quell’uomo e potevo anche farlo finire dritto in galera se le avessi consegnate alla polizia.
Non era un sempliciotto, in nessuno di quei computer era riportato un nome o un codice, nulla che potesse far risalire alla sua persona ma una cosa era certa: aveva le mani sporche di sangue ed era invischiato nella criminalità di quella città; la mia città. Anzi, era un boss della criminalità.

Mi resi conto a quel punto che l’affare era molto grosso e che sarei andato ad immischiarmi in qualcosa che mi avrebbe potuto uccidere quella sera stessa o più avanti nel tempo. Ma c'era un sentore che continuava a mantenermi saldo nella mia decisione: il pensiero di quell'uomo, del quale non sapevo nemmeno il nome, non faceva altro che alimentare la mia rabbia e la voglia di vendetta; il sentimento che provavo era quasi innaturale, qualcosa che prima di allora non avevo mai avvertito.
Dopo questi pensieri presi tutti gli oggetti che avevo scelto e uscii da quella stanza accorgendomi che ci ero rimasto per una sacco di tempo. Fuori, infatti, il sole stava scendendo all’orizzonte e dalle finestre si poteva intravedere un bellissimo tramonto rosso «Chissà se sarà l’ultimo che vedrò».
Presi le chiavi della macchina e lasciai definitivamente la dimora che probabilmente sarebbe stata il punto di partenza di qualcosa di nuovo o l’inizio della mia fine.
Lasciai tutti gli oggetti sul porticato e andai a prendere la macchina con la quale entrai nel cancello e percorsi il viale brecciato. Caricai tutto nel portabagagli e mi avviai verso il luogo dell’incontro che rispetto a dove mi trovavo era abbastanza lontano e ci voleva circa un’ora per raggiungerlo con la macchina.
La notte scese in fretta ed io giunsi finalmente al punto d’arrivo: parcheggiai la macchina lontano dalle mura del giardino che circondava la casa. Lasciai li dentro solo i tre hard disk che contenevano tutti i dati utili per incastrare l’uomo.
Mi fermai lungo la strada, vicino ad un albero e lì presi il mio smartphone e iniziai a controllare la mappa della casa: la osservai per quasi dieci minuti cercando di capire da dove poter fare irruzione e soprattutto dove poter essere non visto dalle telecamere.
Alla fine presi la mia decisione e mi avviai verso un angolo buio del muro dove, secondo la mappa, non c’erano telecamere. Misi il fodero del gladio a tracolla, quello dello spadino al fianco, la pistola in cinta dietro la schiena e i caricatori nelle tasche del jeans.
Arrivato al muro mi arrampicai sfruttando i mattoni e i rampicanti che si erano fatti strada su di esso. Salii in cima e mi guardai un momento intorno: tra me e la porta d’ingresso c’erano circa venti metri in linea d’aria e solo due guardie armate si frapponevano. La prima passò proprio sotto di me durante il suo giro di ronda, attesi il momento più opportuno quindi mi buttai giù cadendo con le gambe su di esso. Flessi le ginocchia e le feci impattare contro la sua schiena prima di cadere a terra. Con un gesto repentino mi rialzai prima di lui e gli misi un braccio intorno al collo per portarlo allo svenimento da soffocamento. L’uomo si dimenò in tutte le maniere arrivando anche a colpirmi al volto. Alla fine, tuttavia, svenne. Iniziai a sudare: sudavo per il caldo e per i movimenti che stavo facendo e sudavo freddo per le azioni che stavo compiendo; azioni che mi erano state insegnate al corso di arti marziali e che avevo giurato di non usare se non per autodifesa.
Trasportai il corpo svenuto dell’uomo dietro ad un cespuglio e poi rimasi acquattato tra l’erba alta dato che avevo sentito avvicinarsi una voce «Chi c’è? Massimo, tutto bene?». Non feci nessun movimento e lasciai che l’uomo si avvicinasse a controllare cosa stesse succedendo, quindi quando notò il cespuglio smosso e accese la torcia per vedere cosa ci fosse mi mossi all’improvviso e con un pugno colpii la parte posteriore del suo ginocchio tanto da fargli perdere l’equilibrio. A quel punto mi alzai e lo afferrai al collo con il braccio destro facendogli fare la stessa fine del collega. Sudavo così tanto che lasciai un grosso alone sulla giacca dell’uomo.
Mi abbassai, presi la sua torcia, la misi in tasca e corsi verso la porta d’ingresso controllando che nessun altro potesse vedermi. A quel punto sapendo dove erano le telecamere e cosa inquadravano, le aggirai e le spensi definitivamente colpendole con dei sassi.
Sapevo che quella cosa avrebbe attirato altri uomini li dove mi trovavo, così abbandonai il luogo e andai verso una porta che consentiva l’accesso al retro della casa. Anche li c’era una telecamera di sorveglianza ma quella era più semplice da disattivare: infatti mi arrampicai su un bidone dell’immondizia posto al fianco della porta e riuscii ad arrivare alla telecamera dalla quale staccai il cavo di alimentazione.

Ridiscesi dal bidone ed entrai nella casa, la porta non era stata chiusa a chiave dato che le guardie facevano dentro e fuori da li. Dovevo fare in fretta, così entrai e controllai se alla porta era attaccata la chiave. La fortuna volgeva verso di me, così chiusi la porta e feci fare un paio di giri alla chiave: nessuno sarebbe potuto entrare da li e solo io ne sarei uscito.
Mi lasciai la porta alle spalle e percorsi il corridoio che si mostrava dinanzi a me: era tappezzato d quadri (probabilmente riproduzioni) e ogni due metri c’era una statuetta su un piedistallo, probabilmente una statuetta raffigurante una delle divinità dell’antichità.
Il corridoio finiva con tre porte poste a sinistra, a destra e al centro. Erano tre porte identiche, di legno ben rifinito e con i manici d’oro. Le raggiunsi e poi, acquattandomi al muro ripresi lo smartphone e guardai nuovamente la piantina della casa: la porta a destra mi avrebbe condotto verso un bagno,  quella al centro verso una sala da pranzo e quella a sinistra verso uno studio. Il bagno non era utile, la sala da pranzo era troppo grande e sicuramente  messa in sicurezza con qualche telecamera, quindi optai per entrare nell’ufficio e vedere se il mio obiettivo fosse li. Mi avvicinai alla porta e poggiando le spalle al muro allungai il braccio sinistro verso il manico che abbassai. La spinsi e affacciai lo sguardo verso l’interno, quindi presi la torcia nella tasca sinistra ed illuminai. Era tutto buio e davanti a me si trovava una scrivania molto ordinata sulla quale si potevano vedere diversi taglia carte pregiatissimi. Dietro questa c’era una grossa sedia di pelle e ancora più giù si ergeva una grande libreria piena di tomi, libri e testi di ogni genere.
Continuai ad osservare cercando di capire se in quel luogo avessi potuto trovare qualcosa di utile ma subito mi accorsi che così non era. Feci per girarmi quando sentii dei rumori di passi che provenivano dalla sala da pranzo e si dirigevano verso il corridoio. Con un gesto repentino accostai la porta alla chiusura e con molta delicatezza la chiusi. Mi avvicinai alla scrivania, mi abbassai e appoggiando le spalle (e quindi il gladio) a quest’ultima, mi nascosi li dietro. Sentii aprire la porta che collegava il corridoio e la sala da pranzo, un paio di passi e poi di nuovo la porta, ma questa volta la stava chiudendo. Qualcuno era nel corridoio e avevo un trentatré percento di possibilità che entrasse nella stanza dove mi ero rifugiato. Trattenni il respiro in modo da sentire quale fosse la prossima mossa di quell’uomo. I passi si allontanarono verso il bagno, poi tornarono e di nuovo uscirono dal corridoio corsero di nuovo nella sala da pranzo. Dopo poco non li sentii più e decisi di alzarmi ed uscire in fretta da quella stanza: ormai sapevano che ero li, chi fossi e, probabilmente, anche cosa volessi, ma ancora non riuscivano a trovarmi. Dovevo arrivare il prima possibile al mio obiettivo, sistemarlo una volta per tutte e fuggire da li il prima possibile.

Uscii da lì ed entrai nella sala da pranzo. Un rapido sguardo ai quattro angoli del soffitto per cercare possibili telecamere e poi una velocissima corsa verso la porta che vedevo dall’altro lato della stanza. Al centro dell’enorme sala c’era un gigantesco tavolo che avrebbe potuto ospitare quindici persone, non era apparecchiato ma era estremamente pulito. Sulla parete sinistra della stanza c’era un lunghissimo quadro raffigurante alcune delle più importanti opere del rinascimento italiano. Sulla destra, due enormi finestre mostravano il giardino fiorito a quella bellissima sala da pranzo.
Giunsi all’altra porta ed uscii dalla stanza trovandomi nell’ingresso dove ebbi quello scambio di parole con il “tedesco”. Non c’era nessuno ma dovevo fare in fretta, dovevo arrivare al mio obiettivo. Ma dov’era? Dove lo avrei potuto trovare? Ripresi in mano il mio smartphone e controllai nuovamente la piantina della casa per vedere se c’era qualche stanza più importante al piano superiore. Sfogliai quella mappa per ben cinque minuti ma poi mi venne la folgorazione: se avevamo un appuntamento e l’unico luogo in cui ci eravamo visti nella casa era la stanza dove ho alloggiato io, forse il mio obiettivo era li. Stando attento a non farmi vedere decisi di tornarci.
Feci il percorso contrario a quello che avevo fatto la mattina e finalmente giunsi quasi nei pressi della porta che conduceva a quello scantinato. Stavo per girare l’angolo quando udii un paio di voci. Mi bloccai all’improvviso e mi acquattai contro il muro. Due uomini stavano piantonando la porta ed erano entrambi armati di mitra.
La situazione si stava mettendo male, sicuramente sapevano che ero li e alcuni uomini mi stavano cercando, quindi non avevo molto tempo, dovevo escogitare qualcosa.
Mi trovavo in un corridoio a “L” e l’unica uscita era possibile attraverso la porta alle mie spalle dalla quale ero appena entrato. Mi guardai intorno in cerca di qualcosa che potesse darmi una mano ma, quasi in preda al panico, non riuscii a vedere nulla e a concentrarmi. Lo sguardo correva freneticamente da destra a sinistra e non si fermava mai per troppo tempo ad osservare. Tutto questo fin quando l’occhio cadde su una scatoletta elettrica posta nel muro. Era proprio vicino a me non ci misi molto a raggiungerla senza far alcun rumore. La scatoletta era di plastica morbida attaccata al muro con quattro viti piccole. Non mi rimaneva altra scelta, dovevo usare la spada per estrarla e tagliare i cavi: fortunatamente entrambe le armi bianche che avevo con me erano dotate di una copertura di gomma intorno al manico.
Ciò che stavo per compiere doveva avvenire in pochissimi secondi dato che l’estrazione della scatola dal muro avrebbe procurato molto rumore.
Mi guardai un momento intorno, poi infilai con forza la spada tra il muro e la scatoletta, quindi, dopo un lungo sospiro, feci un movimento repentino tirando la spada verso di me. Le viti superiori si staccarono facendo un gran rumore mentre quelle inferiori rimasero serrate al muro. La scatoletta si spezzò e fece un gran fracasso. Dopo ciò rimasi un momento fermo e trattenni il fiato cercando di capire se le due guardie della porta avessero sentito i rumori. E da come parlavano, pareva proprio di si. «Merda! Merda! Merda!» dissi a bassa voce mentre infilavo nuovamente la spada nella scatoletta e notando i cavi all’interno la usai per tagliarli tutti di netto: erano sei cavetti elettrici uniti da un’unica fascetta di plastica. A quel punto feci pressione con la spada su quella e con un taglio netto tranciai tutti i cavetti.
A quanto pareva la fortuna non era dalla mia parte in quel momento, infatti le luci del corridoio si spensero solo  lungo il tratto che avevo già percorso e dove mi trovavo in quel momento; davanti la porta che i due uomini piantonavano c’era ancora la luce, probabilmente controllata da un altro allaccio elettrico.
Diedi un rapido sguardo intorno a me per vedere quale fosse il punto più buio del corridoio. Rinfoderai la spada, corsi verso quell’angolo e rimasi in piedi con le spalle al muro sperando di rimanere coperto dall’oscurità. Solo una flebile luce arrivava dall’altro braccio del corridoio e non riusciva ad illuminare tutto.
Rimasi fermo li attendendo i due uomini armati che non ci misero molto ad arrivare. Dopo un breve scambio di parole uno dei due tornò al posto suo mentre l’altro iniziò a camminare lungo il corridoio e da quel momento la fortuna iniziò a girare dalla mia parte: non aveva una torcia e l’illuminazione esterna non riusciva a fare luce all’interno.
Camminò lungo il corridoio cercando di guardare se ci fosse qualche finestra aperta o, addirittura, rotta, oppure se ci fossero tracce lasciate sul pavimento. Per sua sfortuna l’unica cosa che trovò, fu solo il pezzo rotto della scatoletta che giaceva sul pavimento. Quando lo vide si chinò per raccoglierlo e quello fu il momento in cui feci uno scatto dall’angolo buio, nel quale mi ero rifugiato, per dare un colpo dietro la nuca dell’uomo e farlo svenire sul colpo. Riuscii a colpirlo col pomo del gladio e riuscii anche a tenerlo senza farlo cadere a terra, anzi, lo adagiai pian piano al fine di non far rumore. Tornai nell’angolo buio in attesa che l’altro si accorgesse dell’imminente assenza del compagno e venisse a controllare: stoltamente non fece passare troppo tempo e si diresse verso il nostro corridoio.

L’azione fu la stessa se non fosse che riuscì a dare l’allarme agli altri uomini attraverso un walkie talkie prima ch’io lo mettessi k.o.
Non esitai più di un secondo e mi lanciai in corsa verso la porta che i due piantonavano ma questa volta arrivò tutta la mia sfortuna in una persona sola: mentre giungevo, la porta si aprì da sola e dinanzi a me si presentò il “tedesco”: una montagna di muscoli alta quasi due metri che mi sovrastava. Deglutii, feci mezzo passo indietro e alzai la guardia «Mi ero dimenticato di te. Maledizione» - «Ed io invece sono contento di sgranchirmi un po’ le braccia» 

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