Nonostante fossi andato a letto molto tardi, mi svegliai presto, prima che la sveglia suonasse: erano le 7.30 del mattino. Mi alzai, feci colazione, mi preparai e intorno alle 8.30 andai in palestra. Passai li tutta la mattinata, mi allenai fino allo sfinimento e poi tornai a casa verso le 12.30 dove feci un breve pasto e poi mi addormentai a causa della disavventura della notte prima.
Dormii placidamente e,
senza che me ne accorgessi, si fecero le 20.00. Mi svegliai quasi di
soprassalto come se un rumore fosse provenuto dall'esterno del mio
appartamento, lungo il corridoio del piano. Scossi un momento il capo e non
diedi molto peso a quel possibile rumore, quindi mi alzai e mi andai a
sciacquare la faccia con acqua fredda.
Era ora di cena ed io
non avevo fame, probabilmente anche quella sera sarei potuto uscire con i miei
amici ma la testa decise che era tempo di prendere la moto e andare a fare un
bel giro lungo la riviera cittadina. Volevo prendere aria fresca e volevo che
fosse l’aria della mia città e non quella del condizionatore.
Mi preparai indossando
ciò che avevo messo la sera prima e, prendendo il casco e il portafoglio, uscii
di casa chiudendola a chiave.
Viaggiai per quasi due
ore lungo la riviera cittadina poi decisi di intraprendere strade più interne
che volgessero verso le colline.
Proseguii lungo quella
via poi, giunto su una collina molto alta dalla quale era possibile osservare
tutta la città e l’immensità del mare che la bagnava, mi fermai e parcheggiai
il mio scooterone. Scesi, e dopo essermi stiracchiato ben bene, mi avvicinai al
limitare della collina dove mi sedetti lasciando cadere le gambe nel vuoto
dello strapiombo che si creava da li ad una trentina di metri verso il basso.
Osservai quello scenario notturno che donava alla città un certa eleganza.
Un’eleganza che mai avrebbe potuto avere di giorno.
Restai in silenzio così
da poter udire solo il rumore della brezza notturna che volava fra l’erba alta;
in lontananza il rumore delle auto, del traffico e della città sembravano quasi
il flebile ricordo di un brutto sogno.
Per giungere lì avevo
abbandonato la strada normale e per circa un chilometro avevo seguito una
strada di terra battuta che mi aveva imbrattato di polvere tutto lo scooterone.
A parte quei piccoli
rumori di sottofondo potevo considerarmi in uno scenario molto silenzioso che
in quella notte fresca si prestava ad essere uno dei migliori luoghi da
frequentare durante quell'estate caldissima. L’erba che mi circondava era
bagnata dell’umidità e grazie alla brezza che l’accarezzava, era molto fresca.
Tenni le mani poggiate
li per molto tempo mentre lo sguardo volava da un lato all’altro della città: a
sud si potevano vedere i locali posti sul lungo mare, pieni di giovani intenti
a fare festa in quel periodo di ferie e vacanza, a nord la città era un po’ più
silenziosa ma non troppo, dato che anche li i locali davano il loro apporto
alla movida notturna. In lontananza,
in mezzo al mare, si potevano scorgere distintamente le luci di una piattaforma
petrolifera e di qualche barca uscita al largo di notte.
Passai molto tempo lì,
seduto ad ascoltare la pace di quel luogo e a godermi quel momento tutto mio
ripensando anche un po’ a ciò che era accaduto la sera prima con Martina. Un
capitolo della mia storia si era chiuso per sempre e sapevo che un altro più
bello si stava aprendo, ma non sapevo cosa mi avrebbe riservato.
D’un tratto sentii un
rumore forte alle mie spalle e vidi il mio scooterone rovesciato per terra su
di un fianco. «Ma che cazzo!» mi mossi in tutta fretta e andai li vicino per
rialzarlo da terra. Sinceramente non riuscivo a capire come fosse caduto e
l’unica possibilità che mi veniva in mente era che avessi messo male il
cavalletto e che quel venticello avesse finito il lavoro.
Lo ritirai su, lo
spostai da quel luogo e rimisi il cavalletto accertandomi che stesse tutto
bene: fortunatamente non era successo nulla, gli specchietti non erano piegati
e il fianco della carena non era graffiato.
Feci per girarmi verso
il panorama quando la mia attenzione fu catturata da un particolare che un
attimo prima non avevo notato: le chiavi che precedentemente avevo tolto e mi
ero messo in tasca, erano nella moto ed erano pure girate nel quadro dei
comandi. Sbarrai gli occhi e strinsi i denti quando notai quel particolare
inquietante. Come diavolo era possibile una cosa simile? Le avevo in tasca.
Alzai lo sguardo dal tachimetro della moto per osservare intorno e capire cosa
stesse succedendo e dinanzi a me mi ritrovai, a pochi centimetri, esattamente dall'altro lato della moto, colui che la sera precedente era stato molto tempo
ad osservarmi da lontano. Feci un balzo all'indietro che, se non fossi stato
pronto nei riflessi, mi avrebbe causato una caduta a terra. «Che cazzo vuoi?
Chi sei?» una dietro l’altra mi vennero fuori queste domande che rimasero senza
risposta per molto tempo.
«Allora? Non vuoi
rispondere? Sei muto?» continuai ad incalzarlo mentre il mio sguardo rimaneva
fisso su quella cicatrice che aveva in mezzo alla guancia e che non faceva
crescere più la barba.
Scosse il capo e abbassò
lo sguardo sulla moto «Tu non sai chi sono ma io so tutto di te!» rispose con
voce calma e pacata.
«Ah si? Sai tutto di
me! E cosa sai?» risposi abbastanza alterato e innervosito da quella sua
affermazione.
«Un ragazzo di
venticinque anni che abita da solo in una piccola cittadina affacciata sul
mare. Questo ragazzo lavora come assistente tecnico per una ditta di
informatica, si è diplomato sei anni prima con la votazione di novantacinque
centesimi e ha trovato subito lavoro presso questa azienda. E’ il migliore
della sua palestra di kung Fu, gli piace godersi la vita con gli amici e
soprattutto, ama con tutto se stesso la sua moto; o scooterone come lo chiama
lui…» fece una pausa, quindi rialzò lo sguardo e mi fissò negli occhi «Ti basta
come risposta?».
Rimasi colpito e
impaurito da ciò che disse ma cercai di non darlo a vedere e subito risposi «Impressionante!
Sono seguito da una spia che nonostante sappia tutto di me, non si accorge che
non rappresento un pericolo per nessuno e che abbia la fedina pulita» piccola
pausa anche per me «dunque cosa vuoi da me?» risposi ancora più nervoso tanto
che iniziai a stringere i pugni e a sorreggere più che mai il suo sguardo.
C’era solo una cosa che mi colpiva tantissimo di lui: era notte, c’era la luna
piena che illuminava a giorno e lui risaltava tantissimo al colore bianco della
luna. Incredibile era la fine di luglio e lui non aveva un briciolo di
abbronzatura in volto.
«Se vuoi posso
continuare nel dirti che il tuo cuore adesso ha un battito abbastanza regolare,
nonostante sia un po’ più frenetico rispetto al solito, la vena che ti
attraversa la tempia ti sta pulsando per il nervosismo e, nonostante sia molto
buio so che stai stringendo i denti…» quando disse queste ultime cose sbarrai
gli occhi, feci un passo indietro e alzai la guardia «ma che cazzo sei?».
Una domanda che si
disperse nell'aria Il soggetto sparì nell'ombra della notte senza lasciare
alcuna traccia di se.
Mi guardai un po’
intorno mantenendo ancora alta la guardia e tesi le orecchie per sentire
qualsivoglia piccolo rumore. Tutto taceva e nulla disturbava più quel luogo.
Cercai di rilassare i nervi con un lungo respiro, aprii il sotto sella della
moto, presi il casco e dopo aver avviato il motore, andai via in men che non si
dica.
Corsi più che potei, la
paura era tanta e a qualsiasi semaforo mi fermavo, sembrava di vedere ancora
quel “coso” che mi squadrava da lontano, nascosto in qualche angolo buio.
Arrivai al portone di
casa mia, lo aprii e accesi subito la luce per controllare se mi avesse seguito
o, addirittura, fosse arrivato prima di me. Fortunatamente non c’era. Posai le
mie cose sul tavolo, accesi la televisione e mi buttai sul divano a fare un po’
di zapping. Il pollice camminava da solo sul telecomando e cambiava canale in
continuazione, gli occhi erano fissi sullo schermo ma la mente era
completamente altrove: non poteva essere quello che credevo io, non esistono
quelle cose li. Come potevo iniziare a credere a quelle stronzate. Scossi il
capo, mi alzai dal divano, spensi la tv e me ne andai a letto.
Ancora una volta passai
una notte insonne pregna di incubi: sembrava che le mie paure più remote
fossero venute a galla. Paure che neanche io sapevo di avere. Sognai di cadere
nel vuoto, di cadere in un fiume in piena, di venire divorato da uno squalo ed
infine, di nuovo, comparve il volto sbiadito di quel “coso” che per due giorni
mi aveva tormentato.
Fortunatamente arrivò
il mattino e il primo sole fece capolino tra le fessure della serranda. Mi
sedetti sul letto e mi guardai un po’ intorno nella penombra della mia stanza.
I pensieri si
affollavano veloci nella mente e stavo iniziando a credere veramente che quel tipo
fosse solo un soggetto apparsomi in sogno e non una persona reale. Scossi il
capo, sorrisi e mi alzai per andare a fare colazione.
Erano ormai quattro ore
che stavo seduto alla mia scrivania con lo sguardo perso nel vuoto, le occhiaie
e la mente che vagava per fatti propri. Osservavo i miei colleghi che erano
tutti indaffarati nei loro lavori: chi programmava, chi montava su una Motherboard i pezzi giusti per assemblare un pc e chi, com'era giusto che
fosse, dirigeva i lavori. Io ero uno degli assemblatori/manutentori che quella
mattina lavorava per inerzia e a memoria, sapendo per bene cosa dovesse fare.
Finii la mia giornata di
lavoro al solito modo, comprando una barretta di cioccolato dal distributore
automatico.
La notte in bianco si
faceva sentire, così tornai a casa, mangiai velocemente un piatto di pasta e mi
misi a riposare sul letto prima di andare in palestra ad allenarmi.
Dormii pacificamente
tutto il pomeriggio finché non suonò la sveglia che mi fece sobbalzare e mi
ricordò di prepararmi per la palestra. Come sempre il borsone era prontissimo
ma io ero uno zombie vivente e dovevo rimettermi in sesto, quindi andai in bagno
e con dell’acqua fredda mi sciacquai il volto al fine di svegliarmi come si
deve.
L’allenamento mi
allontanò per un po’ da quei pensieri che mi farneticavano nella testa da
giorni, mi diede l’opportunità di pensare un po’ a me stesso e di concentrarmi
su altro.
Tornai a casa e quando
inserii la chiave nella toppa della porta mi accorsi di un piccolo bigliettino
attaccato al pomello: Quando ci
rincontreremo? Domani, dopo domani? Oppure ora?
Quando lessi quell'ultima domanda mi bloccai ma cercai di rimanere calmo volendo finire di
leggere il bigliettino; ma sapete cosa c’era scritto ancora più giù? GIRATI. Mi girai e vidi una figura nera
sfocata. Dopo quel momento tutto divenne buio e un enorme dolore alla nuca mi
fece perdere i sensi.
Mi svegliai tempo dopo
e mentre la vista tornava e le immagini cominciavano ad essere nuovamente messe
a fuoco, capii di essere a casa mia. Una volta ripresomi completamente e avendo
anche percepito il forte mal di testa dovuto a quell'enorme bozzo sulla mia
nuca, alzai lo sguardo e mi resi conto di non essere solo in casa e,
soprattutto, di essere legato ad una delle sedie della mia cucina.
Ero molto impaurito e
non parlai, non volevo dire qualcosa di sbagliato e non volevo commettere
errori, lasciai che fossero quei due uomini a parlare. Esattamente, due uomini
incappucciati mi avevano preso alla sprovvista facendomi svenire e legandomi
alla sedia. Uno era dinanzi a me e l’altro era alle mie spalle.
Era luglio inoltrato,
anzi, era quasi iniziato agosto e loro indossavano dei passamontagna. Dei
passamontagna asciutti dal sudore. Come diavolo facevano? Comunque non era
quella la mia più grande preoccupazione.
«Il capo dice che sei
troppo utile e che non dobbiamo farti fuori ma a me piace uccidere gli
innocenti» disse l’uomo che camminava avanti e indietro, dinanzi a me.
«Sta zitto, non dire
cazzate e rilassati. Tra poco il capo arriverà e lo porteremo via» ribatté
l’altro alle mie spalle.
«Via, dove? Dove volete
portarmi?» chiesi con molta preoccupazione.
Il neon di quella stanza
illuminava tutti e tre e mostrava il fisico prestante di entrambi quegli
uomini: uno era più alto e più muscoloso ma avrei giocato tutto quello che
avevo che l’altro era molto più veloce e scaltro. Indossavano dei jeans neri e
due canotte altrettanto nere, la loro pelle era abbronzata ma il neon la
rendeva molto chiara.
«Shhh» disse di nuovo
il primo con un sibilo.
La luce andò via, il
neon si spense e l’ultima cosa che sentii fu «Oh merda!».
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