domenica 21 luglio 2013

QUANDO TUTTO EBBE INIZIO - Capitolo II - di Matteo Palmerini


Nonostante fossi andato a letto molto tardi, mi svegliai presto, prima che la sveglia suonasse: erano le 7.30 del mattino. Mi alzai, feci colazione, mi preparai e intorno alle 8.30 andai in palestra. Passai li tutta la mattinata, mi allenai fino allo sfinimento e poi tornai a casa verso le 12.30 dove feci un breve pasto e poi mi addormentai a causa della disavventura della notte prima.
Dormii placidamente e, senza che me ne accorgessi, si fecero le 20.00. Mi svegliai quasi di soprassalto come se un rumore fosse provenuto dall'esterno del mio appartamento, lungo il corridoio del piano. Scossi un momento il capo e non diedi molto peso a quel possibile rumore, quindi mi alzai e mi andai a sciacquare la faccia con acqua fredda.
Era ora di cena ed io non avevo fame, probabilmente anche quella sera sarei potuto uscire con i miei amici ma la testa decise che era tempo di prendere la moto e andare a fare un bel giro lungo la riviera cittadina. Volevo prendere aria fresca e volevo che fosse l’aria della mia città e non quella del condizionatore.
Mi preparai indossando ciò che avevo messo la sera prima e, prendendo il casco e il portafoglio, uscii di casa chiudendola a chiave.
Viaggiai per quasi due ore lungo la riviera cittadina poi decisi di intraprendere strade più interne che volgessero verso le colline.
Proseguii lungo quella via poi, giunto su una collina molto alta dalla quale era possibile osservare tutta la città e l’immensità del mare che la bagnava, mi fermai e parcheggiai il mio scooterone. Scesi, e dopo essermi stiracchiato ben bene, mi avvicinai al limitare della collina dove mi sedetti lasciando cadere le gambe nel vuoto dello strapiombo che si creava da li ad una trentina di metri verso il basso. Osservai quello scenario notturno che donava alla città un certa eleganza. Un’eleganza che mai avrebbe potuto avere di giorno.
Restai in silenzio così da poter udire solo il rumore della brezza notturna che volava fra l’erba alta; in lontananza il rumore delle auto, del traffico e della città sembravano quasi il flebile ricordo di un brutto sogno.
Per giungere lì avevo abbandonato la strada normale e per circa un chilometro avevo seguito una strada di terra battuta che mi aveva imbrattato di polvere tutto lo scooterone.
A parte quei piccoli rumori di sottofondo potevo considerarmi in uno scenario molto silenzioso che in quella notte fresca si prestava ad essere uno dei migliori luoghi da frequentare durante quell'estate caldissima. L’erba che mi circondava era bagnata dell’umidità e grazie alla brezza che l’accarezzava, era molto fresca.
Tenni le mani poggiate li per molto tempo mentre lo sguardo volava da un lato all’altro della città: a sud si potevano vedere i locali posti sul lungo mare, pieni di giovani intenti a fare festa in quel periodo di ferie e vacanza, a nord la città era un po’ più silenziosa ma non troppo, dato che anche li i locali davano il loro apporto alla movida notturna. In lontananza, in mezzo al mare, si potevano scorgere distintamente le luci di una piattaforma petrolifera e di qualche barca uscita al largo di notte.
Passai molto tempo lì, seduto ad ascoltare la pace di quel luogo e a godermi quel momento tutto mio ripensando anche un po’ a ciò che era accaduto la sera prima con Martina. Un capitolo della mia storia si era chiuso per sempre e sapevo che un altro più bello si stava aprendo, ma non sapevo cosa mi avrebbe riservato.
D’un tratto sentii un rumore forte alle mie spalle e vidi il mio scooterone rovesciato per terra su di un fianco. «Ma che cazzo!» mi mossi in tutta fretta e andai li vicino per rialzarlo da terra. Sinceramente non riuscivo a capire come fosse caduto e l’unica possibilità che mi veniva in mente era che avessi messo male il cavalletto e che quel venticello avesse finito il lavoro.
Lo ritirai su, lo spostai da quel luogo e rimisi il cavalletto accertandomi che stesse tutto bene: fortunatamente non era successo nulla, gli specchietti non erano piegati e il fianco della carena non era graffiato.
Feci per girarmi verso il panorama quando la mia attenzione fu catturata da un particolare che un attimo prima non avevo notato: le chiavi che precedentemente avevo tolto e mi ero messo in tasca, erano nella moto ed erano pure girate nel quadro dei comandi. Sbarrai gli occhi e strinsi i denti quando notai quel particolare inquietante. Come diavolo era possibile una cosa simile? Le avevo in tasca. Alzai lo sguardo dal tachimetro della moto per osservare intorno e capire cosa stesse succedendo e dinanzi a me mi ritrovai, a pochi centimetri, esattamente dall'altro lato della moto, colui che la sera precedente era stato molto tempo ad osservarmi da lontano. Feci un balzo all'indietro che, se non fossi stato pronto nei riflessi, mi avrebbe causato una caduta a terra. «Che cazzo vuoi? Chi sei?» una dietro l’altra mi vennero fuori queste domande che rimasero senza risposta per molto tempo.
«Allora? Non vuoi rispondere? Sei muto?» continuai ad incalzarlo mentre il mio sguardo rimaneva fisso su quella cicatrice che aveva in mezzo alla guancia e che non faceva crescere più la barba.
Scosse il capo e abbassò lo sguardo sulla moto «Tu non sai chi sono ma io so tutto di te!» rispose con voce calma e pacata.
«Ah si? Sai tutto di me! E cosa sai?» risposi abbastanza alterato e innervosito da quella sua affermazione.
«Un ragazzo di venticinque anni che abita da solo in una piccola cittadina affacciata sul mare. Questo ragazzo lavora come assistente tecnico per una ditta di informatica, si è diplomato sei anni prima con la votazione di novantacinque centesimi e ha trovato subito lavoro presso questa azienda. E’ il migliore della sua palestra di kung Fu, gli piace godersi la vita con gli amici e soprattutto, ama con tutto se stesso la sua moto; o scooterone come lo chiama lui…» fece una pausa, quindi rialzò lo sguardo e mi fissò negli occhi «Ti basta come risposta?».
Rimasi colpito e impaurito da ciò che disse ma cercai di non darlo a vedere e subito risposi «Impressionante! Sono seguito da una spia che nonostante sappia tutto di me, non si accorge che non rappresento un pericolo per nessuno e che abbia la fedina pulita» piccola pausa anche per me «dunque cosa vuoi da me?» risposi ancora più nervoso tanto che iniziai a stringere i pugni e a sorreggere più che mai il suo sguardo. C’era solo una cosa che mi colpiva tantissimo di lui: era notte, c’era la luna piena che illuminava a giorno e lui risaltava tantissimo al colore bianco della luna. Incredibile era la fine di luglio e lui non aveva un briciolo di abbronzatura in volto.
«Se vuoi posso continuare nel dirti che il tuo cuore adesso ha un battito abbastanza regolare, nonostante sia un po’ più frenetico rispetto al solito, la vena che ti attraversa la tempia ti sta pulsando per il nervosismo e, nonostante sia molto buio so che stai stringendo i denti…» quando disse queste ultime cose sbarrai gli occhi, feci un passo indietro e alzai la guardia «ma che cazzo sei?».
Una domanda che si disperse nell'aria  Il soggetto sparì nell'ombra della notte senza lasciare alcuna traccia di se.
Mi guardai un po’ intorno mantenendo ancora alta la guardia e tesi le orecchie per sentire qualsivoglia piccolo rumore. Tutto taceva e nulla disturbava più quel luogo.

Cercai di rilassare i nervi con un lungo respiro, aprii il sotto sella della moto, presi il casco e dopo aver avviato il motore, andai via in men che non si dica.

Corsi più che potei, la paura era tanta e a qualsiasi semaforo mi fermavo, sembrava di vedere ancora quel “coso” che mi squadrava da lontano, nascosto in qualche angolo buio.
Arrivai al portone di casa mia, lo aprii e accesi subito la luce per controllare se mi avesse seguito o, addirittura, fosse arrivato prima di me. Fortunatamente non c’era. Posai le mie cose sul tavolo, accesi la televisione e mi buttai sul divano a fare un po’ di zapping. Il pollice camminava da solo sul telecomando e cambiava canale in continuazione, gli occhi erano fissi sullo schermo ma la mente era completamente altrove: non poteva essere quello che credevo io, non esistono quelle cose li. Come potevo iniziare a credere a quelle stronzate. Scossi il capo, mi alzai dal divano, spensi la tv e me ne andai a letto.
Ancora una volta passai una notte insonne pregna di incubi: sembrava che le mie paure più remote fossero venute a galla. Paure che neanche io sapevo di avere. Sognai di cadere nel vuoto, di cadere in un fiume in piena, di venire divorato da uno squalo ed infine, di nuovo, comparve il volto sbiadito di quel “coso” che per due giorni mi aveva tormentato.
Fortunatamente arrivò il mattino e il primo sole fece capolino tra le fessure della serranda. Mi sedetti sul letto e mi guardai un po’ intorno nella penombra della mia stanza.
I pensieri si affollavano veloci nella mente e stavo iniziando a credere veramente che quel tipo fosse solo un soggetto apparsomi in sogno e non una persona reale. Scossi il capo, sorrisi e mi alzai per andare a fare colazione.
Erano ormai quattro ore che stavo seduto alla mia scrivania con lo sguardo perso nel vuoto, le occhiaie e la mente che vagava per fatti propri. Osservavo i miei colleghi che erano tutti indaffarati nei loro lavori: chi programmava, chi montava su una Motherboard i pezzi giusti per assemblare un pc e chi, com'era giusto che fosse, dirigeva i lavori. Io ero uno degli assemblatori/manutentori che quella mattina lavorava per inerzia e a memoria, sapendo per bene cosa dovesse fare.
Finii la mia giornata di lavoro al solito modo, comprando una barretta di cioccolato dal distributore automatico.
La notte in bianco si faceva sentire, così tornai a casa, mangiai velocemente un piatto di pasta e mi misi a riposare sul letto prima di andare in palestra ad allenarmi.
Dormii pacificamente tutto il pomeriggio finché non suonò la sveglia che mi fece sobbalzare e mi ricordò di prepararmi per la palestra. Come sempre il borsone era prontissimo ma io ero uno zombie vivente e dovevo rimettermi in sesto, quindi andai in bagno e con dell’acqua fredda mi sciacquai il volto al fine di svegliarmi come si deve.
L’allenamento mi allontanò per un po’ da quei pensieri che mi farneticavano nella testa da giorni, mi diede l’opportunità di pensare un po’ a me stesso e di concentrarmi su altro.
Tornai a casa e quando inserii la chiave nella toppa della porta mi accorsi di un piccolo bigliettino attaccato al pomello: Quando ci rincontreremo? Domani, dopo domani? Oppure ora?
Quando lessi quell'ultima domanda mi bloccai ma cercai di rimanere calmo volendo finire di leggere il bigliettino; ma sapete cosa c’era scritto ancora più giù? GIRATI. Mi girai e vidi una figura nera sfocata. Dopo quel momento tutto divenne buio e un enorme dolore alla nuca mi fece perdere i sensi.
Mi svegliai tempo dopo e mentre la vista tornava e le immagini cominciavano ad essere nuovamente messe a fuoco, capii di essere a casa mia. Una volta ripresomi completamente e avendo anche percepito il forte mal di testa dovuto a quell'enorme bozzo sulla mia nuca, alzai lo sguardo e mi resi conto di non essere solo in casa e, soprattutto, di essere legato ad una delle sedie della mia cucina.
Ero molto impaurito e non parlai, non volevo dire qualcosa di sbagliato e non volevo commettere errori, lasciai che fossero quei due uomini a parlare. Esattamente, due uomini incappucciati mi avevano preso alla sprovvista facendomi svenire e legandomi alla sedia. Uno era dinanzi a me e l’altro era alle mie spalle.
Era luglio inoltrato, anzi, era quasi iniziato agosto e loro indossavano dei passamontagna. Dei passamontagna asciutti dal sudore. Come diavolo facevano? Comunque non era quella la mia più grande preoccupazione.

«Il capo dice che sei troppo utile e che non dobbiamo farti fuori ma a me piace uccidere gli innocenti» disse l’uomo che camminava avanti e indietro, dinanzi a me.
«Sta zitto, non dire cazzate e rilassati. Tra poco il capo arriverà e lo porteremo via» ribatté l’altro alle mie spalle.
«Via, dove? Dove volete portarmi?» chiesi con molta preoccupazione.
Il neon di quella stanza illuminava tutti e tre e mostrava il fisico prestante di entrambi quegli uomini: uno era più alto e più muscoloso ma avrei giocato tutto quello che avevo che l’altro era molto più veloce e scaltro. Indossavano dei jeans neri e due canotte altrettanto nere, la loro pelle era abbronzata ma il neon la rendeva molto chiara.
«Shhh» disse di nuovo il primo con un sibilo.

La luce andò via, il neon si spense e l’ultima cosa che sentii fu «Oh merda!».

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