domenica 14 luglio 2013

QUANDO TUTTO EBBE INIZIO - Capitolo I - di Matteo Palmerini

«Fai schifo!»
Sì, la mia storia con lei, la donna che credevo di amare con tutto me stesso, finì in quel momento e con quel cordiale saluto.
Ricordo ancora quell’attimo: sono passati tantissimi anni ma da quel giorno il mio modo di guardare il mondo cambiò per sempre. I miei occhi iniziarono a vedere sotto un nuovo aspetto tutto ciò che prima era una routine per me. Il semplice strombazzare delle auto che percorrevano la via principale della città notturna, era divenuto per me qualcosa di… di… diverso.
E’ tempo che io vi racconti ciò che accadde, è tempo che sappiate come io sono morto.

26 Luglio 2010 ore 20.00 - Quando tutto ebbe inizio

Era una caldissima serata di mezza estate ed ero sul balcone del mio piccolo appartamento con una bottiglia di birra in mano mentre osservavo le persone che tornavano verso le loro abitazioni dopo una lunghissima giornata di mare. Non sono mai stato un tipo da mare ma mi è sempre piaciuto il tramonto estivo e l’aria fresca che porta con sé per sconfiggere il caldo torrido del giorno.
Continuavo a guardare la strada, osservavo tutte quelle persone abbronzatissime e, alle volte scottatissime, che tornavano felici dalla spiaggia. Gruppi di ragazzi, babysitter con i bambini, piccole famigliole, tutti che stavano abbandonando quel luogo per tornare a casa e, chissà, forse per prepararsi ad una serata di divertimenti o a una cena romantica.
Rimasi li sul balcone con la mia birra per circa un’ora fin quando vidi comparire all'inizio della via l’auto della mia ragazza. Un lieve sorriso mi si formò in volto, così poggiai la birra sul tavolo del balcone e rientrai in casa. Mi tolsi la canotta che indossavo e misi una T-shirt, tolsi i pantaloncini e misi i miei bermuda. Presi le chiavi di casa, il cellulare e il portafoglio e aprii la porta di casa per uscire ma quella figura me lo impedì.
«Cristo Santo Martina. Mi vuoi far prendere un coccolone al cuore?» dissi subito dopo aver fatto un piccolo balzo indietro per lo spavento.
«No, non te lo farei mai prendere prima di aver fatto un paio di chiacchiere con te» rispose con tono di voce secco e duro.
«Che cosa ho fatto questa volta?» proseguii mentre mi scostavo dall'uscio della porta per farle spazio.
Lei iniziò a parlare, quella solita tiritera che mi ripeteva ormai da un mese: sono ormai due anni che vivi qui da solo, quando ti deciderai a mettere la testa a posto? Quando potremmo iniziare a vivere insieme? Sei rimasto il ragazzo immaturo di sempre, ecc. ecc. Giuro che avrei potuto ripetere quelle parole io stesso, tante erano le volte che le aveva dette. Quando finì di parlare, presi un paio di bicchieri e una bottiglia d’acqua fresca e volgendomi verso di lei sorrisi dicendo «Mi spieghi cosa vuoi da me?». Un lungo silenzio, durante il quale lei sembrava si stesse preparando ad esplodere, percorse la stanza.
«Fammi capire, ho parlato per mezz'ora e tu non hai sentito una parola di quello che ho detto?» incalzò lei, irrompendo in quel sordo silenzio.
«Esattamente. Sono settimane che mi ripeti sempre la stessa cosa ma forse non ti sei accorta che di tutto ciò che hai appena detto non mi interessa nulla» risposi con tono tranquillo mentre versavo dell’acqua nel mio e nel suo bicchiere, poi continuai «questa tua tiritera la so a memoria e nonostante io ti abbia già dato una risposta, tu continui a portarla avanti» feci un piccolo sospiro e ripresi «no! Non voglio vivere con te, non voglio vivere con nessuno, voglio i miei spazi per me, voglio stare per cazzi miei e soprattutto vorrei iniziare a vivere come dico io e non come dici tu! Fammi un piacere: inizia a decidere solo per te stessa» finii di parlare e bevvi il mio bicchiere d’acqua tutto d’un sorso.
Sembrava che quelle parole l’avessero colpita nel profondo dell’orgoglio, sembrava che qualcosa fosse cambiato in lei: per la prima volta non sapeva come rispondere e, cosa più eclatante, non riusciva a trovare degli insulti da lanciarmi. Così, fissandomi dritto negli occhi si alzò di scatto e riprendendo la sua borsa da sopra il tavolo mi volse le spalle «e ora che fai, non sapendo cosa rispondere, scappi?» incalzai con, probabilmente, il miglior tempismo si sempre.
«No, non scappo, mi allontano dalla puzza di merda che emani… Fai schifo!» E così aprì improvvisamente la porta e fece per uscire.
In quel momento tutto rallentò ed io la vidi finalmente per quello che era: una ragazza con bisogno di attenzioni che sfociava questo suo disagio nel voler essere la parte dominante della coppia; una ragazza che voleva mascherare le sue debolezze con un’armatura di ostentata forza e predominio. Nonostante capii ciò, non tornai sui miei passi: anche io ero stanco e non ne potevo più di quella situazione. Era tempo di cambiare.
I pensieri continuavano ad affollarsi nella mente in quell'istante che sembrava durare ore, ma l’unica cosa che riuscivo percepire di lei era quel fisico da modella: quelle gambe lunghe che iniziavano con dei piedi fantastici e finivano in due glutei sodi e duri come il marmo, quei fianchi perfetti che davano origine a delle curve pericolose, quella terza di seno che mi aveva fatto impazzire in quell'ultimo anno, quelle labbra morbide e quel sorriso stupendo che mi piacevano tantissimo e quei suoi grandi occhi azzurri che facevano risaltare, in quel volto piccolo, la carnagione scura e i capelli castani.
Si, probabilmente non era ancora tempo di avere una storia seria con qualcuno. Probabilmente era solo sesso, solo quello cercavo.
Quell'istante cessò ed ella sparì sbattendo la porta dietro di lei.


Era andata via per sempre, la nostra storia di un anno era finita lì. In teoria avrei dovuto iniziare a star male, magari a piangere, ma ciò che sentivo era solo una perfetta sintonia con me stesso e con tutto ciò che mi stava intorno. Feci spallucce e afferrai il telecomando del condizionatore, lo accesi in modalità “deumidificatore” e poi mi alzai dalla sedia per lasciarmi cadere a peso morto sul divano.
Iniziai a guardarmi intorno, a guardare quel piccolo anfratto nel quale vivevo: una saletta/ingresso con una cucina che spariva nel muro grazie ad una porta/armadio, un bagno e una camera da letto. Non era molto ma per me andava benissimo: era il mio regno.
Dopo un buon quarto d’ora passato disteso sul divano, mi sedetti e afferrai il telecomando per accendere la televisione. Proprio nel momento in cui stavo per premere il tasto di accensione il mio cellulare, ancora nella tasca dei miei bermuda, squillò e vibrò. Era arrivato un messaggio che lessi in fretta: “sta sera ci andiamo a fare una birra con il gruppo, vieni?
Ma sì, meglio che stare a casa a vedere la televisione. Così risposi al messaggio chiedendo a che ora era l’incontro e dove. La risposta arrivò celere suggerendomi che l’orario e il luogo erano i soliti.
Mi preparai un paio di uova fritte, un pezzo di pane abbrustolito sulla fiamma e un poco di insalata che mangiai in tranquillità facendo arrivare l’ora di uscire. Tutto questo mentre guardavo il telegiornale nazionale. Nessuna notizia nuova: la crisi nel nostro paese, le forze dell’ordine che facevano l’ennesima retata a casa di rumeni che trafficavano droga nei pressi della capitale, ancora un omicidio passionale nel nord del paese, un altro boss della criminalità organizzata che veniva arrestato e portato in carcere. Nulla di ché.
Passò un’ora e mezza e così mi alzai dalla sedia, presi il piatto, le posate e il bicchiere e andai a lavare tutto nel lavandino della cucina. Appena finii, pulii il lavello e mi diressi in bagno dove mi lavai i denti e mi sciacquai le mani e il volto.
Fatto tutto ciò ripresi le chiavi di casa e della moto ed uscii.
Andai al punto d’incontro e come sempre fui il primo ad arrivare, così parcheggiai, mi tolsi il casco che misi nel sotto sella e andai a sedere sul muretto.
Il nostro solito luogo d’incontro estivo era un punto preciso della riviera, nei pressi di uno stabilimento balneare posto di fronte ad una cornetteria. Era il meglio che potessimo chiedere: prima una o più birre insieme e poi, dopo aver smaltito tutto l’alcol tra battute e risate si andava a prendere un cornetto alla crema o al cioccolato proprio li di fronte. Il tutto coronato da una passeggiata sulla riviera al fine di osservare il maggior numero di “lati B” di ragazze, ai quali apporre un voto.
La serata iniziò proprio li dove ero solito aspettarli: un muretto basso che delimitava il marciapiede e la spiaggia; un posto tranquillo dove potersi sedere ed iniziare subito a dare i primi voti (anche da solo). Nel frattempo presi le cuffiette del cellulare e le attaccai all’Iphone per iniziare ad ascoltare la musica.
Passai circa dieci minuti in solitudine; beh, per modo di dire ero solo… In breve tempo arrivarono tutti i miei amici: Giulio, Marco, Stefano, Luigi e la sua ragazza rompipalle, Luisa.
Appena arrivò l’ultimo di noi, ovvero Luigi che dava sempre la colpa a Luisa per averci messo troppo tempo nel prepararsi, mi alzai e battei le mani «Allora, Birra?» dissi abbastanza entusiasta di quell'inizio di serata. Tutti insieme risposero con un sonoro «Certo, che domande!».
Mi alzai e incoraggiai gli altri ad avviarci verso l’entrata dello stabilimento rimanendo dietro la fila.


Entrarono tutti nel locale e Giulio tenne la porta aperta per far entrare anche me. Qualcosa, però, attirò la mia attenzione: un uomo in lontananza, dall'altra parte della strada, vicino alla cornetteria, mi fissava e lo stava facendo da quando io ero arrivato lì. Non avevo dato molta importanza al soggetto considerandolo un matto di strada, ma in quel momento un qualcosa, una scintilla, un luccichio che provenne da lui mi incuriosì e mi fece voltare. Continuava a stare nella posizione di prima, appoggiato al muro con la schiena e una gamba flessa che poggiava la pianta del piede sul muro. Indossava una T-shirt nera, dei jeans strappati e un paio di converse nere. Il volto non sono mai riuscito a vederlo per bene dato che aveva sempre lo sguardo basso ogni qualvolta mi giravo ad osservarlo.
«Ehi, ci sei?» disse Giulio incuriosito dalla mia esitazione.
«Eh? Si si, perdonami.» risposi e subito dopo entrai nel locale.
«Tutto bene?» continuò lui mentre mi dava una pacca sulla spalla e lasciava che la porta si chiudesse alle mie spalle.
«Si, tutto bene. Sono solo un po’ stanco e frastornato. Inoltre, non ve l’ho ancora detto ma oggi io e Martina ci siamo lasciati.» risposi con un mezzo sorriso dipinto in volto.
Lui si fermò e mi afferrò per un braccio «Davvero? E come mai?» mi fece questa domanda ma già sapeva la risposta, infatti dal suo sguardo si poteva trapelare quel senso di ironia che, avvicinato alla domanda, la rendeva quasi comica.
«Lo sai il “perché”. Mi ero rotto le scatole di stare con una che mi diceva quello che dovevo fare. Finché è servita al suo scopo andava tutto bene, ma da quando ha iniziato a dettare legge, la sua legge, non mi è andata più bene» risposi in questa maniera alimentando l’ironia che si era venuta a creare nell'aria e continuando a sorridere al mio amico.
 «Eh si, me lo aspettavo proprio. Dai, andiamoci a fare sta birra benedetta!» continuò lui passandomi il braccio sulla spalla.

            La serata trascorse in tranquillità tra risa, battute e scherzi alla ragazza di Luigi che ormai era diventata l’obiettivo di ogni nostra serata. Chi riusciva a farla imbestialire poteva anche meritarsi una birra gratis. Il tutto avveniva affinché lei si arrabbiasse con Luigi e desse tutta la colpa a lui. Poverino non era mai colpa sua ma si beccava sempre le peggiori strigliate e al contrario, noi ci facevamo grasse risate.
Non andammo a prendere solito il cornetto, anzi, passammo così tanto tempo al tavolo dello stabilimento che non ci accorgemmo dell’orario: si erano fatte le 3:00. Quando guardai l’orologio sgranai gli occhi e mi volsi verso gli altri «Credo sia il caso di tornare a casa. Sono le tre e domani mi devo alzare presto» e nel dire ciò mi alzai dalla mia sedia. Tutti mi seguirono e uscimmo dal locale. Mi accompagnarono fino al mio scooterone e da lì ognuno per la sua strada.
Presi il casco e nel metterlo mi guardai intorno cercando quella figura che precedentemente era rimasta molto tempo a fissarmi dal lato opposto della strada. Non riuscivo a vederla ed essendo molto stanco non gli diedi peso avviandomi verso casa mia, sapendo che l’indomani mattina mi aspettava il solito allenamento di Kung Fu. Sì, ero iscritto ad una palestra di arti marziali ed ero il migliore del mio corso nell'arte del Kung Fu.
Tornai a casa, mi svestii, mi feci una doccia veloce per togliermi di dosso quell'umidità che mi aveva reso appiccicoso e mi misi a letto. Ricordo ancora come quella notte fu un tormento completo per me, come dormii male nel mio letto (cosa che non mi era mai accaduta) e come i sogni mi rovinarono il sonno. E’ ancora nitido nella mia mente il ricordo di quel sogno nel quale mi trovavo nel giardino della mia vecchia casa, della casa dei miei genitori, ero in piedi dinanzi al corpo morto di mio fratello, trucidato da non si sa cosa.

            

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